Cory Monteith didn’t die, he just took the midnight train going anywhere.

by Ilarina

Questo è uno di quei post che non avrei mai voluto scrivere, o, se proprio dovevo farlo, avrei preferito scriverlo tra tipo sessantanni: io, vecchietta novantenne ma con l’animo ancora da fangirl, che ricorda i bei tempi andati di quando andava in giro per l’Europa per assistere ad un concerto, che racconta ai nipoti: “Ah, io Cory Monteith l’ho visto esibirsi a Londra nel lontano 2011, era buffo e decisamente non sapeva ballare.” Invece, mi trovo qui, alle porte dei miei trent’anni a scrivere di quel ragazzone alto che aveva solo un anno più di me, che di punto in bianco ha preso quel famoso treno per andare chissà dove.

Non so neanche se sto facendo la cosa giusta, perché ho paura di scrivere le solite banalità da coccodrillo e di cadere in quel vortice di retorica che segue sempre queste occasioni.

Ma la vita della fangirl, per quanto assurda e anormale appaia agli occhi della gente normale, deve affrontare la morte come tutti quanti. E purtroppo, in questo caso non si tratta di Fred Weasley, Finnick Odair o Robb Stark, questa volta si tratta di qualcuno di reale. Una persona che per molti era un idolo (quanto odio questa parola), ma che messe da parte fama e soldi era esattamente come siamo noi, una persona.

Lo diceva anche lui: Alto, Strambo, Canadese, Attore, Batterista, Persona.

Tante volte, noi persone comuni, fangirl o no, ci dimentichiamo che le star sono persone anche loro, con pregi, difetti, debolezze e virtù.

Noi fangirl li vediamo come supereroi infallibili e perfetti, che influenzano spesso gesti e percorsi della nostra vita, nel bene e nel male.

La gente comune o i finti cinici li vedono come dei privilegiati che hanno avuto la fortuna di avere fama e soldi e che quindi sono estranei ai problemi di tutti i giorni e che non hanno diritto ad avere momenti bui.

Io sono la prima a voler avere tra le mani chi ha inventato la frase “I soldi non fanno la felicità”, perché se di base è vero, dobbiamo anche dire che una grossa mano te la danno.

Ma se sei fragile, non ci sono soldi e fama che tengano.

Se ti porti dietro il peso di un’infanzia e di un’adolescenza difficile, magari senza un padre o chissà che diavolo di situazioni, il successo non è la soluzione a tutti i mali.

Non conoscevo Cory Monteith, non so cosa l’ha spinto, oltre dieci anni fa, a fare uso di droghe.

E’ entrato nella mia vita due anni e mezzo fa, assieme ad un gruppo di altri ragazzi che mi hanno aiutata a distrarmi dai problemi che dovevo, e devo, affrontare tutti i giorni. Per me era quel babbasone alto alto e sgraziato che mi faceva ridere durante i press junket e che mi faceva piegare in due quando tentava di mettere due passi di danza insieme. Cory non era il mio preferito della serie, e Finn Hudson non era neanche nella mia top ten tra i personaggi più amati di Glee. Ma faceva parte di quella famiglia, e tanto basta.

Io forse sono più forte di quanto lo è stato lui, mi è bastato aggrapparmi a qualche telefilm, libro o film per dimenticare, almeno momentaneamente, lo schifo che mi sta riservando la sorte in questi ultimi anni. Mi è bastato condividere questa passione con altre persone, per mettere alla porta, per almeno qualche ora al giorno, tutte le ansie che la mia mente bacata e la mia situazione mi disturbano quotidianamente.

Glee, ultimamente, aveva perso di valore per me come telefilm, questo lo sapete sia se mi conoscete di persona, sia se seguite questo blog il minimo indispensabile. Ma è stata una pagina importante della mia vita, e c’è poco da fare, se sei stato Gleek, vuoi o non vuoi, lo rimarrai per sempre.

Il qualunquismo, ieri, ha rispolverato il classico “era un drogato, se l’è andata a cercare”. Buttato lì a caso, perché è facile commentare un evento del genere così, forse più semplice che rimanere nella propria indifferenza e continuare con la propria vita, così come succede quando muore una qualsiasi star che non amiamo, magari di vecchiaia o di un brutto male o di un incidente e ci affrettiamo, al massimo, di buttare lì un “poverino”.

Come il qualunquismo del finto cinismo, ieri ha imperversato anche quello del buonismo a tutti i costi, quello da Studio Aperto e da “insegna agli angeli a suonare la batteria.” o “ora Michael Jackson gli insegnerà finalmente a ballare.”, no, per piacere, risparmiateci questo dolore di plastica.

Quello che ho veramente apprezzato è stato l’affetto dimostrato da Tumblr: molti, anche non fan di Glee, hanno speso una parola, un post, un gifset, una foto per farsi sentire vicini a Cory, a Lea, al cast e a noi fan. Gli altri, invece, hanno semplicemente scelto di rimanere indifferenti, senza sentire la necessità di ergersi a portatori di verità assolute e giudicare le situazioni e le scelte di vita di un ragazzo di 31 anni.

Quello che, credo, abbia sconvolto noi Gleeks è stata questa morte improvvisa. Sapevamo che ci fosse qualche problema, altrimenti il rehab di aprile non aveva senso, ma ne era uscito, sembrava star meglio, aveva ripreso peso, si stava preparando alle riprese della quinta stagione. Invece no, questa notizia ha preso tutti come un pugno dritto nel naso.

Cory non ha mai mai dato segno di squilibri, non era certo famoso per essere una di quelle celebrity che si fanno beccare sfatte e sconvolte un fine settimana sì e l’altro pure. Quante volte avete sentito notizie di un suo arresto? Mai, esatto.

Non aveva mai fatto mistero del suo passato da tossicodipendente, aveva deciso volontariamente di farsi curare, la scorsa primavera. E’ forse tutto ciò quello che più ci ha fatto male e che ci fa salire la rabbia quando sentiamo dire: “Cazzi suoi, gli sta bene.”

Io comprendo anche la filosofia dello “sti cazzi” è giusto, ognuno ha il diritto all’indifferenza; quello che comprendo meno è sentire la necessità di ostentare ed esternare pensieri che debbano buttare fango su una persona, che in fondo, non ha torto un capello se non a sé stesso. Non parliamo di un dittatore sanguinario o di un parassita della società. Parliamo di un ragazzo di 31 anni le cui uniche due colpe erano quello di essere famoso e di essere tossicodipendente.

Per ultimo, perché penso di aver sproloquiato senza senso fin troppo, il mio pensiero va ad una madre che ha perso un figlio, perché credo che una madre che vede morire il figlio sia una delle tragedie più devastanti che possa capitare nella vita di una persona.

Va ad una ragazza di 26 anni che ha perso il suo amore, che per quanto mi possa stare antipatica, una cosa così difficilmente gliela auguri; una ragazza a cui, prima o poi, toccherà tornare quotidianamente a lavorare lì dove lo aveva conosciuto, e che ogni angolo le ricorderà lui.

Va ad un gruppo di amici che hanno perso un fratello e un buffone di corte.

Ciao babbasone, sarà dura trovare qualcun altro da prendere in giro.

Ciao babbasone, ci mancherai.

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Last Update: May 5, 2025