Sottotitolo: How I Met… Chris Evans and the rest of Captain America: The Winter Soldier Cast.

C’era una volta una povera pazza

Potrebbe tranquillamente iniziare così la mia storia. Perché sostanzialmente sto per raccontarvi qualcosa che sfiora il limite dell’assurdo e ha sicuramente oltrepassato quello del buonsenso.

Perché una fangirl può essere pericolosa, ma una fangirl ossessionata e con la testa dura lo è senza condizionali.

Capita che ti parte la tangente per un certo attore. Capita che finisci a guardarti la sua INTERA filmografia in una manciata di mesi.

Capita che proprio quando ormai stai con tutte e due i piedi nella fossa chiamata “ossessione” questo attore giri uno dei suoi più grossi blockbuster.

Capita che, nonostante tu abbia un lavoro più che precario ed entrate pari quasi a zero decida, un anno prima che il suddetto film esca, di prendere un barattolo di latta e metterci un euro al giorno. Quando non sai cosa sarà di te da lì ad un anno. Quando non sai se effettivamente una premiere in Europa la facciano. Quando non sai se lui ne prenderà parte. Ma niente, tu hai la testa dura, tu ci credi che possa succedere, che debba succedere e vai avanti imperterrita fin quando non arrivi ad un gruzzoletto risicato che ti possa permettere di partire.

Succedono tante cose in questo lasso di tempo, dodici mesi sono tanti. Succedono cose belle, succedono cose meno belle, eppure niente ti smuove dall’idea che tu dovrai essere a Londra per lui.

Il tempo passa inesorabile e la data di uscita al cinema si avvicina. E’ l’inizio del 2014 quando confermano la premiere inglese e gli attori che vi prenderanno parte: Chris Evans, Scarlett Johansson, Samuel L. Jackson, Sebastian Stan, Anthony Mackie.

Il cuore si ferma, la pressione si abbassa. Lui ci sarà. Lui non poteva non esserci.

Ma la data non arriva fino al 28 Febbraio, esattamente 3 settimane prima, sull’orlo di una crisi di nervi.

La testa gira, le mani tremano e il salvadanaio con i risparmi (pochi) di un anno si apre.

Un sabato mattina un volo RyanAir Parma-Londra Stansted viene prenotato.

Hai pure una fangirl, ma prima ancora un’amica, di base a Londra, che ti offre un tetto per ripararti, un letto su cui dormire (anche se dormire è una parolona) e del cibo per sfamarti. (Un giorno parlerò anche della solidarietà tra fangirl, che sa essere potentissima)

Una volta che tutto ciò che è necessario per il viaggio l’hai fatto, ti tocca aspettare. Tre lunghissime settimane. Come se non avessi già atteso abbastanza. Si chiude lo stomaco e ogni immagine che ritrae LUI ti fa salire la tachicardia. Continui a chiederti se è tutto vero. Se riuscirai a vederlo da vicino. Se andrà tutto come deve andare.

Il giorno della partenza arriva e tu cammini ad un paio di cm da terra. Ovviamente, per rendere la giornata più tranquilla, c’è sciopero dei mezzi, che ti costringe ad arrivare in aeroporto due ore prima tanto che i controlli di sicurezza li inauguri tu.

Londra è sempre lei: caotica, colorata e inespettatamente tiepida e non solo per il calore di un abbraccio amichevole.

La sveglia è alle 4 di mattina per raggiungere il Westfield Shepherd’s Bush, ma ovviamente non hai chiuso occhio per tutta la notte e come previsto, alle 6,30 del mattino sei lì (ringraziando l’efficienza del carissssssimo trasporto pubblico londinese).

I presupposti sembrano buoni, ma ahimé una combo di sfiga (chiamata successivamente legge Savoia, capirete poi perché), giargianesi & cacciatori di autografi e sicurezza che vi indirizza da una parte vi porta ad occupare l’area più inculata di tutto il blue carpet e risicando la prima fila.

Inizialmente lo sconforto e i pianti da demente la fanno da padrona. Neanche un Tall Hot Chocolate with Cream e un (quarto di) Chocolate Swirl di Starbucks ti tirano su.

Sì, la bandiera tricolore è la mia

Poi, però, ad un certo punto dell’interminabile, ennesima attesa ti dici: “Vaffanculo Chiara, hai fatto tanto per essere qui, non puoi certo farti fregare da un gruppo di vecchiacci puzzoni che sono lì solo per lucrare.

Dunque ti insinui, scivoli e ti prendi il tuo angolino di prima fila, fregandotene se poi non ti muoverai da lì per ore ed ore e ringrazi, per una volta, di essere di taglia inferiore alla media.

Non c’è molto da dire sulle ore che passano, se non che l’adrenalina aumenta e l’ansia cresce, che non senti alcun dolore fisico e la testa sembra fluttuare nel vuoto e l’unico modo per sfogarsi è insultare, rigorosamente in italiano, il povero tizio che deve pulire la Corvette proprio di fronte a te, che in confronto una persona che soffre di Disturbo Ossessivo Compulsivo è un accumulatore seriale di Real Time.

Ma più si avvicina l’ora X più sul Blue Carpet regna la confusione così che quando viene annunciato il primo attore, Anthony Mackie, quasi non ti prende un colpo. E proprio a causa della gran confusione e della posizione infelice che vedi Sam “Falcon” Wilson a pochi metri da te senza poterlo avvicinare.

Dopo è il turno di Sebastian Stan ed è un altro momento in cui il cuore cede, perché è vero che ami alla follia Chris, ma se non fosse stato per Spaco Botilia, tu Captain America: Il Primo Vendicatore, non l’avresti mai visto. E riesci nel tuo primo intento, farti firmare la foto che poi sarebbe diventata il regalo di compleanno di una delle tue più care amiche. Quando te lo trovi ad una manciata di centimetri dalla faccia ti chiedi se è vero o è un ologramma, per quanto bello e stupidamente simpatico sia.

Dopo Sebs, è il turno del mostro sacro Samuel L. Jackson, che da quel momento in poi ami alla follia non solo perché, sbattendosene dei tempi da red carpet si ferma con tutti e non nega foto a nessuno, ma sfancula pure il tizio che ti sta dietro perché ti copre praticamente la faccia col suo poster da farsi autografare.

“Do you think it’s polite?” Fatti amare, Sam.

Scarlett Johansson la vedi solo, letteralmente, col binocolo. Lei è una divaH e l’avevi messo in conto questo rischio.

Non tanto a sorpresa c’è anche Hayley Atwell e la cosa mi rende immensamente felice perché la trovo una donna bella da far male e molto, molto talentuosa.

E poi arriva QUEL momento. E non ci capisci più niente. Ma nel senso concreto del termine, niente metafore. Il Westfield inizia a girarti attorno e ringrazi transenne davanti a te e gente che ti spinge da dietro se non finisci distesa per terra senza la forza che ti tiene in posizione verticale. Il terrore che non si avvicini come Scarlett lo senti che ti corre nelle vene e ti infilza come tanti spilli.

E poi invece arriva, è a pochi passi da te. Entri in uno stato catatonico che non ti fa spiccicare parola.

Arriva di fronte a te e ti spiazza con un sorriso, firma gli autografi ai bimbi accanto a te e tu rischi di scatenare la rissa, perché il solito imbecille del poster ti copre tutta la visuale e veramente per poco non glielo strappi dalle mani per buttarglielo via. Ti impedisce di farlo lo stato di trance in cui ti trovi. Prende la tua foto e te la firma, riesci a implorarlo perché scatti una foto con te ma quella sua cara publicist, simpatica come un’influenza intestinale lo trascina via e lui ti sorride di nuovo e ti guarda come per dirti “It’s not my fault.” E lì muori dentro e non scoppi a piangere per chissà quale strano incrocio di pianeti.

Non sei riuscita a far la foto con lui, ma ti ha sorriso. Due volte. Hai il suo autografo. Era a venti centimetri dalla tua faccia. Era la cosa più bella del mondo. Era lì. Ce l’hai fatta.

Ringrazio Fede che ha scattato una foto nel momento del mio effettivo decesso.
Sì, sta sorridendo a me.

Il mondo può pure crollare in quel momento, non te ne accorgeresti. Hai aspettato tanto ed è successo.

Sei talmente frastornata che non riesci neanche a piangere, ad emettere un suono, a formulare un pensiero coerente. Lo vedi andar via e sai che il suo “I’ll come back.” è solo una frase di cortesia. Ma non importa.

La sfortuna ha voluto che, trovandoti in un posto infelice ed in culo ai lupi, per scattare foto con gli attori “era sempre troppo tardi.” In quel momento ci rimani male, molto male. Hai aspettato 13 ore in piedi, non hai mangiato nulla, sei partita dall’Italia apposta, ma poi ti rendi conto che sei stata ad un tiro di schioppo da loro, da LUI e ti dici che va bene così, che quel sorriso non te lo toglierai più dalla testa. E soprattutto ci saranno altre occasioni per rimediare alla sfiga.

Impavide nello sfidare la stanchezza di ore e ore di attesa, dolori articolari, pioggia e freddo, tu e Fede tentate di avvicinarvi a due degli hotel probabili dove loro possono alloggiare. Ovviamente non c’è traccia di loro, in compenso trovi sul tuo cammino Emanuele Filiberto di Savoia (da qui il nome della Legge Savoia) che suo malgrado riceve una caterva di improperi innominabili da parte vostra.

E, ovviamente, scoprite che l’albergo dove effettivamente alloggiano è a pochi passi dal Dorchester dove siete stare voi, ma lo scoprite una volta a casa. (Secondo postulato della Legge Savoia)

Sto scrivendo questo post esattamente una settimana dopo e ancora non mi capacito che possa essere effettivamente successo tutto quanto. Potrei continuare a scrivere per un’altra settimana anche se, effettivamente, lo stato d’animo in cui mi sono trovata non è semplice da descrivere. Certe cose le si provano.

Una cosa è certa, i sogni sono bellissimi e quando si avverano lo sono ancora di più.

E chi se ne frega quanti anni hai, cosa hai fatto perché accadesse. E’ una cosa meravigliosa.

E le cose meravigliose non si giudicano, non hanno età e sono tutte tue.

Solo un’altra cosa voglio dire: GRAZIE.

Grazie a Federica che non mi ha lasciata dormire su un marciapiede, che mi ha preparato un pollo al curry e alle verdure buonissimo, che è andata da Starbucks solo per me e che nonostante il male al ginocchio si è fatta mezza Mayfair con me solo per trovare un maledettissimo hotel senza risultati.

Grazie a mio fratello che sopporta da più di un anno questa follia.

Grazie a tutte quelle persone che erano contente praticamente tanto quanto me, vi voglio bene.